BRAHMS
IL GENIO VAGABONDO
Il cd comprende, dirette da Wolfgang Sawallisch, tre grandi pagine sinfoniche: la "Sinfonia n. 4", l’"Ouverture tragica" e le "Variazioni su un tema di Haydn".
Brahms il vagabondo, dicono le biografie appropriandosi di una definizione che lo stesso compositore, vissuto tra il 1833 e il 1897, aveva dato di sé. In un cd di musica sinfonica, tutto diretto da Wolfgang Sawallisch, Famiglia Cristiana pubblicherà la settimana prossima la Sinfonia n. 4, l’Ouverture tragica e le Variazioni su un tema di Haydn, tre opere della piena maturità che saranno messe in vendita al prezzo complessivo, cioè comprensivo del giornale, di 4,45 euro, pari a 8.616 lire. Sawallisch le dirige con la London Philharmonic, la Filarmonica di Londra, una grande orchestra fondata nel 1932 da Sir Thomas Beecham.
Brahms il vagabondo, dunque. Andandone a cercare le ragioni, si spiega anche perché queste tre pagine sinfoniche vengano alla luce in certi anni, a partire dal 1874, data delle Variazioni su un tema di Haydn, quando Brahms aveva già superato i 40 e soltanto allora aveva deciso di dedicarsi totalmente alla sinfonica, dopo avere speso la prima parte della sua vita per la musica da camera. Ma vediamo, in questa specie di matrioska, di risalire al nocciolo, alla bambola più piccola.
Johannes Brahms nasce ad Amburgo il 7 maggio 1833, da Johann Jakob, suonatore di flauto, corno, violino e contrabbasso (era contrabbassista al Teatro Municipale) e Johanna Henrika Nissen, una piccola commerciante di 17 anni più anziana del marito.
È un matrimonio che zoppica: nascono tre figli, Elisabeth, Johannes e Friederich, poi i Brahms si separano. Con un padre che vive di musica, la vocazione di Johannes non tarda a manifestarsi. A cinque anni, grazie a un proprio sistema, è in grado di individuare le note suonate sul pianoforte, a sette anni il padre lo affida al pianista Otto Cossel dicendogli: «Se un giorno questo bambino arriverà a saperne quanto lei, per me sarà sufficiente». In sostanza il padre pensa che il figlio possa diventare un buon concertista. Il resto non gli passa neppure per la testa.
A 10 anni, Johannes Brahms dà il suo primo concerto privato, a 14 comincia a suonare nei cortili, nei caffè-concerto, nelle birrerie del porto di Amburgo dove è nato (la sua casa, di aspetto decisamente popolare – tetto a piramide, una finestra accanto all’altra, soffitti molto bassi – è stata distrutta dai bombardamenti del 1943).
A 17 anni incontra il violinista ungherese Eduard Reményi, la prima chiave di volta della sua vita. Grazie a lui conosce motivi popolari ungheresi di cui farà tesoro, con lui compie una tournée per la Germania, grazie a lui conosce il violinista Joseph Joachim che gli aprirà molte porte. Quelle di Franz Liszt a Weimar, dove Brahms, stanco del viaggio fatto a piedi, si addormenta mentre Liszt gli esegue la Sonata in Si minore, 35 minuti senza interruzione; e, soprattutto, le porte di Robert e Clara Schumann, che lo accolgono a Düsseldorf come una rivelazione, cosa che Schumann confermerà in un articolo, dando così credito a un Brahms compositore di fronte al quale l’esecutore passa decisamente in secondo piano.
Brahms ha vent’anni (siamo nel 1853), esegue per lui il primo tempo della sua Sonata in Do maggiore e tanto basta a Schumann per gridare al miracolo.
Comincia la vita di Brahms nomade. Nel 1856 si trasferisce a Bonn per essere vicino a Schumann moribondo, nel 1862 è a Vienna, dove sarà nominato direttore della Singakademie, incarico che terrà appena per un anno per dedicarsi alla composizione. Sempre musica da camera, naturalmente, strumentale, vocale o corale: per la musica sinfonica c’è tempo, l’ombra di Beethoven pesa su tutti. L’affronterà completando nel 1868 Un Requiem tedesco, una cantata per due voci soliste, coro e orchestra, su testi tratti liberamente dalla Bibbia luterana in tedesco, una delle pagine più consolatorie che mai siano state scritte. Dopo quel successo, Johannes Brahms si decide a prendere carta e penna per occuparsi in particolare di musica sinfonica.
Da Amburgo a Vienna
Nella Prima Sinfonia (1876) scrive un corale che sembra quasi una parafrasi dell’Inno alla gioia della Nona di Beethoven; e a chi glielo fa notare, risponde: «Anche un asino se ne accorgerebbe», come a dire che l’effetto era voluto, era uno stratagemma per liberarsi di un fantasma. Poi vennero le altre: la Seconda l’anno dopo, la Terza nel 1883, la Quarta, l’ultima, nel 1885. Fu durante la composizione delle sinfonie che si definì un «vagabondo». Lo invitarono ad Amburgo per il cinquantesimo della Società Filarmonica. Aveva il dente avvelenato. Disse all’amico poeta Klaus Groth: «Due volte il posto vacante alla Filarmonica è stato offerto a un forestiero, lasciandomi in disparte. Se mi fosse stato offerto quand’era il momento, sarei diventato un buono e fedele cittadino, avrei potuto sposarmi ed essere un uomo come gli altri. Adesso sono un vagabondo».
Uno che non si era mai voluto sposare, uno scapolo che viveva alla giornata, in affitto, mangiava all’osteria, si faceva il caffè da solo. Delle sue case non è rimasto niente. Né a Ischl, vicino a Salisburgo, dove trascorreva l’estate, né a Vienna dove i suoi mobili, compreso un ingegnoso lavabo, sono ora nella casa di Haydn, perché quella di Brahms non c’è più. USATO BUONO